On the Book

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PoesieRacconti.it


sabato 16 aprile 2011

Rimanere se stessi in balìa della vita...

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Rimanere se stessi in un mondo che
giorno e notte si adopera per trasformare
ciascuno di noi in un essere qualsiasi
vuol dire combattere la battaglia più dura della vita.

da 
“Sulla riva dei nostri pensieri”

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Raggiungere una valida realizzazione personale è senza dubbio la meta fondamentale per ogni individuo, ma cosa vuol dire in concreto realizzare se stessi? Per molti questa espressione è sinonimo di “affermarsi socialmente”, di acquisire potere, prestigio, denaro, e infatti gran parte delle persone aspirano a diventare “qualcuno” nella vita, oppure, se non si reputano all’altezza, fanno la scelta opposta, rassegnandosi a rimanere dei “nessuno”.
Entrambe queste scelte — accontentarsi di essere nessuno o tentare di essere qualcuno — sono soltanto illusioni, che generano confusione e sofferenza: ogni individuo è fatto per essere se stesso e tutto ciò che non è “se stesso” (essere “qualcuno” o essere “nessuno”) non può realmente gratificarlo, realizzarlo, ma al massimo dargli l’illusione momentanea di esserlo.
Molta della insoddisfazione esistenziale che caratterizza la nostra epoca dipende proprio da questa illusione, dallo sprecare il proprio tempo ed energie per realizzare ciò che non siamo o per trattenerci dal rischio di metterci davvero in gioco. Leggiamo una testimonianza dal vivo, tratta dalla raccolta di storie autobiografiche da me curata Dietro le maschere alla scoperta di se stessi, ed. da Compagnia degli araldi.
Le mete che ho inseguito negli ultimi cinque o sei anni si sono rivelate insoddisfacenti ed illusorie, e tutto ciò che ruotava attorno ad esse sta crollando come un castello di carte. Pur trattandosi di un processo doloroso ne avverto l’inevitabilità e anche la positività. Ho toccato con mano che denaro, prestigio e potere sono solo chimere che promettono ma non mantengono; è ben altro ciò che può davvero realizzarmi come essere umano, che può farmi stare bene con me stesso e con gli altri: ci illudiamo — la società ci illude — che se avremo più soldi, più potere, più prestigio saremo diversi, la nostra vita sarà migliore, ma questo è vero solo a livello superficiale; se non si cresce dentro, l’abito può al massimo ingannare gli altri ma non noi stessi. Io ho avuto la grande fortuna nella mia vita di raggiungere abbastanza presto certi traguardi e di scoprirne la vacuità, l’illusorietà. È come se vivessi per soddisfare le esigenze di un altro, non di me stesso.
Per quanto la mia mente fosse molto soddisfatta, orgogliosa di tutti i traguardi raggiunti, a me non arrivava nulla di positivo, niente che mi facesse sentire un po’ più felice: potevo pensare di avere tutto ciò che occorre per la felicità ma non potevo ingannare il mio “sentire di non essere felice”. Già alcuni decenni fa lo psicanalista Erich Fromm aveva messo in evidenza che la nostra felicità e il nostro benessere appartengono prevalentemente alla sfera dell’essere; l’avere, da solo, non può dare la felicità, sia che si tratti dell’avere materiale, sia che si tratti di avere sociale, vale a dire: potere, fama, prestigio etc.
Non tutti hanno però letto Fromm, e ancor oggi la maggior parte delle persone è preda di questa illusione, la cui forza sociale risiede in due fattori:
1) nel fatto che molti individui non raggiungono mai alcun traguardo materiale e quindi non arrivano a toccare con mano che essi sono vuoti, non nutrienti, e così possono illudersi ad infinitum, vivendo di speranza o di rassegnazione;

2) quelli che raggiungono qualche traguardo si rendono, sì, conto che essi non risolvono affatto i loro bisogni e problemi esistenziali, però gli è difficile accettare il fatto che qualcosa che tutta la società valorizza e insegue sia in realtà un’illusione, e allora pensano: “non funziona perché non ne ho abbastanza: devo averne di più, devo scalare una vetta più alta, lì troverò ciò che cerco”.
E così la spirale si perpetua. È un po’ come la storia del vestito nuovo del re: il re è nudo, ma nessuno ha il coraggio di ammetterlo, dal momento che gli altri sembrano vederne ed ammirarne il vestito, nessuno ha abbastanza fiducia in sé da credere in ciò che vede coi propri occhi e andare contro corrente: solo la purezza di un bambino — ancora non condizionato dalla società — svela l’inganno. Così è per le false mete che si diceva: pur toccando con mano la loro vacuità, manca la fiducia in se stessi per ammetterla: la società non può sbagliare — crediamo — e se tutti dicono che questo è ciò che davvero conta nella vita bisogna che sia così; se per me non funziona è colpa mia, forse non ne ho abbastanza. 


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Chi si ostina in questa spirale perversa passa tutta la vita ad arrampicarsi sempre più in alto senza però trovare mai ciò che cerca. Se la cultura dominante intende con “realizzarsi” il raggiungere vette sociali e materiali sempre più alte, la nuova cultura dà a questa espressione un ben diverso significato.
Per capirlo proviamo a immaginare l’essere umano come un seme che deve germogliare, crescere e maturare, anzi, come un insieme di semi diversi — o talenti — ciascuno dei quali rappresenta una parte importante di quel meraviglioso microcosmo che è l’uomo. 

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Se noi diamo spazio al nostro bagaglio interiore e dedichiamo tempo e attenzione a coltivare le nostre potenzialità siamo senz’altro sulla giusta strada, stiamo gradualmente realizzando noi stessi, e questo non può mancare di farci stare bene, di darci soddisfazioni e gratificazioni vere, cioè che ci nutrono nel profondo. Se, viceversa, rinneghiamo il nostro bagaglio autentico e tendiamo a sostituirlo con qualcos’altro che non ci appartiene, solo perché crediamo — o ci hanno fatto credere — che sia meglio così, allora ricaveremo solo soddisfazioni effimere, momentanee, che gratificano forse la nostra maschera sociale ma non la nostra essenza profonda, ciò che veramente siamo. In questo caso possiamo stare certi che prima o poi il nostro essere autentico si ribellerà, facendoci provare sempre più spesso sensazioni del tipo “inquietudine”, “insoddisfazione”, “noia esistenziale” e simili.
Per quanto dolorose, non vanno criticate: sono sensazioni benefiche, sono la spia rossa che ci segnala che qualcosa non va nella nostra vita, nel modo in cui stiamo vivendola, e grazie ad esse possiamo decidere di fare qualcosa per cambiare in meglio. Ogni essere umano rimane incompleto, come un seme mai germogliato, finché persegue mète non sue, finché vive inconsapevolmente, come un automa, seguendo le abitudini e le consuetudini sociali senza mai interrogarsi sulla loro effettiva validità e senza osservare gli effetti che tali abitudini producono su di sé e sugli altri. Troppo spesso deleghiamo ad altri il nostro potere di autodeterminare la nostra vita, rinunciando, in cambio di tranquillità e rassicurazione, al nostro diritto di essere se stessi.
Chiarito che cosa vuol dire “realizzarsi” cerchiamo di capire come poterlo fare in concreto. Il punto di partenza è senza dubbio conoscere se stessi, scoprire cioè di quali “semi” — o talenti — è composta la nostra dotazione interiore. Quali sono le cose per cui siamo più portati? In che cosa possiamo eccellere? Quale è il percorso che più si confa alle nostre aspirazioni e caratteristiche?
Secondo varie scuole della moderna psicologia — dalla psicosintesi alla psicologia umanistica, dall’analisi bioenergetica alla gestalt — la natura ci ha dato un radar molto semplice per rispondere a queste domande: le cose che più ci stimolano e ci danno soddisfazione sono quelle più adatte a noi.
Se avete dentro di voi certi talenti — ad esempio di tipo artistico — ogni volta che vi imbatterete in un’opera d’arte o incontrerete un artista o ne leggerete la vita, sentirete qualcosa dentro, una emozione, un sussulto, un sospiro, e così per ogni altro talento: sentiamo qualcosa dentro che ci emoziona, ci stimola, ci attrae.
Se da bambini fossimo stati allenati a capire veramente i nostri sentimenti e a fidarci delle indicazioni interiori non avremmo difficoltà nello scegliere la strada giusta per noi: i nostri sogni e le nostre aspirazioni ci fanno da guida. Il punto è che non veniamo affatto abituati a sviluppare questa capacità ma anzi siamo indotti a scegliere il nostro percorso scolastico e poi lavorativo in base a tradizioni di famiglia o a considerazioni meramente opportunistiche, quali la redditività, il prestigio sociale e simili.
Insomma, è la mente razionale a decidere, più che il cuore e il sentire interiore — una mente che non è neppure del tutto nostra, condizionata com’è dall’ambiente sociale e dai mass media. 

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L’educazione dovrebbe essere il processo attraverso il quale il potenziale di ogni individuo — i suoi talenti — viene riconosciuto e aiutato a germogliare, a venire fuori: “educazione” deriva infatti dal latino ex-ducere che significa letteralmente “portare fuori”. Purtroppo quello che si fa a scuola in molti casi non è un portar fuori i talenti del bambino, ma piuttosto portare dentro i valori e gli schemi degli adulti, quindi non è un e-ducare ma piuttosto un in-ducare, indottrinare.
La nostra mente, in misura maggiore o minore, è il prodotto di una inducazione; solo il sentire interiore è nostro, è la cosa più nostra che abbiamo, ed è indipendente dall’ambiente sociale: che voi nasciate in Cina o in Italia, poveri o ricchi, il vostro sentire è unico, i vostri talenti sono unici.
Ecco perché trovare la propria strada non è un affare per la mente ma piuttosto per quel radar interiore che chiamiamo “sentire”. Il nostro “radar” funziona in modo molto semplice, comprensibile anche da un bambino: se ciò che facciamo ci stimola, piace, ci da soddisfazione e ci nutre, non solo nel corpo ma anche nel cuore e nell’anima, allora significa che ci stiamo realizzando.
Se invece la nostra vita ci stanca, ci annoia, sembra assorbire tutte le nostre energie restituendoci poco o niente in cambio, se l’entusiasmo è per noi solo un lontano ricordo, allora questi sono segnali inequivocabili che siamo distanti dalla nostra strada e non stiamo affatto realizzando noi stessi, ma tutt’al più qualche ideale o modello altrui, qualcosa insomma che non fa realmente parte di noi.
In questo caso dobbiamo avere il coraggio di ammettere con noi stessi che è tempo di cambiare. In fondo al nostro essere sappiamo tutti, seppure vagamente, qual’è la nostra vera strada, ma spesso abbiamo paura ad ammetterlo perfino con noi stessi; la nostra ragione si preoccupa sempre di dimostrarci in infiniti modi che è impossibile seguire quella direzione, che avremmo troppo da perdere, che non saremmo all’altezza, che ormai è tardi, che.... Certo, sono motivi indubbiamente validi, ma che senso ha vivere una vita che non ci realizza? Ed è davvero così terribile perdere qualcosa che tutto sommato non ci nutre affatto?
Esistono molti casi di persone che in un certo momento della loro esistenza cambiano radicalmente vita e vanno a fare un altro lavoro. Sono casi in cui queste persone, in precedenza fuori strada, si sono rese conto delle loro reali esigenze e capacità interiori.
Non è mai troppo tardi per trovare la propria strada. E non è nemmeno detto che si debbano fare scelte drastiche come quelle suddette, a volte basta molto meno per nutrire il nostro essere. E' certamente una grossa responsabilità quella di realizzare la propria vita, ma il gioco vale senz’altro la candela: la vita è nostra, se non la viviamo noi chi la deve vivere? Chi ci può dire cosa va bene o cosa non va bene per noi se non noi stessi? Che senso ha “divenire qualcuno” in confronto a “essere se stessi”? 

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“Quando, anni fa, mi resi conto che stavo vivendo un copione scritto da altri, decisi di non stare più al gioco, di non accontentarmi di vivere una vita standard, anche se ricca di vantaggi e privilegi com’era la mia, ma di vivere la mia vera vita, di esprimere la mia vera essenza.
Non sapevo però come realizzare tutto ciò, intuivo che doveva esserci dell’altro ma non sapevo cos’era. Ho dovuto calarmi a fondo dentro di me per scoprire ciò che veramente sono, ho dovuto mettermi totalmente in discussione; cambiare molte idee che credevo mie, molti atteggiamenti che mi limitavano, ho dovuto lottare per affermare il mio diritto di essere me stesso, lottare con soggetti esterni, ma anche con alcune parti di me.
Non è stato facile, e il percorso non è ancora terminato, ma i miei sforzi sono stati ampiamente ripagati.” (tratto da “Dietro le maschere alla scoperta di se stessi”, op cit.) C’è una qualità comune a tutti gli esseri umani, anche se in molti è ancora allo stato latente, e si chiama potere personale, cioè il potere di prendere la vita nelle proprie mani, di autodeterminarla, sentendo nel profondo di noi stessi ciò che va bene, che ci fa sentire realizzati. Nessun altro può fare questa scelta al nostro posto. Dobbiamo sentirci degni di vivere la nostra autenticità, ognuno a modo suo, perché ciascuno è un esemplare unico, e anche se noi esseri umani ci somigliamo per molti aspetti, ognuno possiede una propria sfumatura di colore, di fragranza, e consentendo a se stesso di farla sbocciare e di viverla non solo realizza se stesso ma arricchisce anche l’intera umanità.
Enrico Cheli

** Enrico Cheli, sociologo, psicologo, docente universitario
www.enricocheli.com

Articolo pubblicato sulla rivista 
ARMONIA n. 12 - febbraio/marzo 2000 

giovedì 14 aprile 2011

I libri curano l'anima...

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Quante volte la lettura di un libro ci ha aiutato a superare un momento di difficoltà o, molto più semplicemente, ci ha aiutati a scivolare in un sonno piacevole; ci ha distratto con una risata, ci ha fatto riflettere su noi stessi attraverso un personaggio nel quale ci siamo rispecchiati? Cosa sia la libroterapia ce lo spiegherà Miro Silvera, autore del fortunato libro che s’intitola appunto Libroterapia. Un viaggio nel mondo infinito dei libri, perché i libri curano l'anima.

La libroterapia non cura i disturbi psichiatrici, anche minori, ma costituisce un prezioso strumento d’intervento per tutta quella “zona grigia” che va dalla crisi esistenziale o familiare alla normale tristezza o alle crisi delle “età di passaggio”, dallo smarrimento d’identità alla caduta di ruolo, situazioni che quasi mai richiedono di essere “medicalizzate”.
In un mondo che corre vertiginosamente e che ha fatto dello “scaricare da internet” una sorta di nuovo comandamento, la lettura, attraverso il contatto fisico con la pagina scritta, rappresenta un’ancora di salvezza, un momento di pausa e di riflessione, irrinunciabile per ascoltarsi, scoprire se stessi e prendersi cura del proprio sé.

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I libri danno benessere, e la biblioteca è la farmacia dell'anima. Per qualsiasi disturbo, carenza o bisogno, i libri curano, nutrono, confortano. Tenendo sempre teso il filo sottile dell'ironia, Miro Silvera accompagna i lettori tra gli scaffali e accanto ai comodini, gira attorno alle poltrone preferite e porge il cuscino giusto.
"Il vero luogo natìo è quello dove per la prima volta si è posato uno sguardo consapevole su sé stessi. La mia prima patria sono stati i libri" afferma l'imperatore Adriano ricostruito dalla sottile penna della Yourcenar.
Libri come veicoli di libertà, occasioni di incontro, compagni di solitudine, immagine speculare di sè, o forse più semplicemente come rimedi al male di vivere, "il più imbarazzante di tutti i mali". 
Sembra infatti che la mera visione di libri eserciti un certo effetto terapeutico e forse c'è in questo qualcosa di vero se si considera che un pittore italiano, Armodio, ha fatto dei libri la sua principale musa ispiratrice. Libri quindi come lenitivi un po' a tutto tondo. Del resto, che le parole curino se ne è cominciato a fare esperienza diretta con la nascita della psicoanalisi.
Scrive Barry Lopez " a volte, per sopravvivere si ha bisogno, più ancora che di cibo, di una storia". Ma Silvera non si limita a prescrivere libri a seconda del malanno, ma va oltre, dedicando qualche paginetta anche ai luoghi dove praticare la libroterapia senza con questo giungere alla soluzione estrema adottata da Saba che scelse addirittura di vivere nella sua libreria. Forse perché anche solo sentirsi circondati dai libri può avere un effetto catartico e rassicurante. Questa la sensazione che si riceve nel vedere Astrid Lindgren all'interno del suo salotto di casa letteralmente sommersa da edizioni della sua eroina dalle trecce rosse o ancora Tiziano Terzani immortalato in uno scatto domestico mentre è sprofondato in una poltrona con alle spalle una parete di libri schierati, quasi in veste di numi tutelari. Se poi i libroterapeuti suggeriti da Silvera non dovessero rivelarsi all'altezza dei nostri malanni riprendendo sempre Lopez, caro apprendista lettore che alberghi in tanti di noi, mi verrebbe da suggerire "Se ti arrivano delle storie, abbine cura. E impara a regalarle dove ce n'è bisogno". 

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“Leggere è vivere attraverso gli occhi di un altro. In questo modo si esce poco a poco fuori da sé, dimenticando i problemi e gli assilli mondani per calarsi in un altrove sovente straniero e sconosciuto. Che miracolosamente calma e guarisce”.

Miro Silvera

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Prendetela come una specie di terapia intensiva, una rehab sentimentale a base di letteratura. Per ripescare lui, se mai l’aveste perduto, o per ripartire con nuovi flirt. Secondo i neuroscienziati dell’università del Kentucky la fiction, allenando a immaginarsi diverse, sviluppa abilità cruciali dal punto di vista evoluzionistico (sintonizzarsi con gli altri, diventare più empatiche) e quindi ad affrontare meglio i love affair. Interessate a un percorso di uscita dal tunnel della disgrazia amorosa? Con l’aiuto dello psicosessuologo Alberto Caputo abbiamo fatto la top ten dei grandi classici, i romanzi indispensabili alla guarigione.
1. Per (s)fidanzate perenni - La macchia umana, di Philip Roth
Prescrizione per capire che l’amore vero spesso arriva quando si abbandonano pregiudizi e falsi miti. E ci si ritrova finalmente sullo stesso piano, senza più veli (come diceva anche Charlotte Brontë in Jane Eyre). Per riscoprire in due il valore della complicità.
2. Per quarantenni a corto di pathos - L’amante, di Marguerite Duras
Intriso di una sensualità forte, sconvolgente e cruda, è la prova che a ogni età è possibile riattivare l’onda e amare appassionatamente, con il corpo e con la mente. Magari sovvertendo le regole e scegliendo l’uomo che credevate il vostro opposto.
3. Per traditrici seriali - Domani nella battaglia pensa a me, di Javier Marías
Ecco l’occasione per (ri)scoprire che l’inganno fa parte del gioco sempre ambiguo dell’amore. Anche senza volerlo, a volte senza saperlo, presto o tardi tutti in qualche modo lo infliggiamo o lo subiamo. Un invito a perdonare (e a perdonarsi).
4. Per quelle che non c’è limite all’attesa - Il museo dell’innocenza, di Orhan Pamuk
Sintomi: un fidanzato fedifrago, appassionato ma allergico a scelte e responsabilità. Rimedio: come Fusün, protagonista del romanzo del Nobel, dimostrare al partner che la vostra pazienza non è eterna e il vostro amore ha un prezzo. Risultato: sottrarlo all’altra ed evitargli di rimpiangere voi per tutta la vita.
5. Per martiri della coppia - Tutta un’altra musica, di Nick Hornby
Avviso alle vittime del mito dell’amore a ogni costo. L’errore è credere di non poter cambiare e non voler vedere quando la coppia scoppia. Tarpando le ali all’anima. Rimedio: tornare se stesse, seguendo la melodia della libertà ritrovata.
6. Per eterne seconde (ma ancora per poco) - Rebecca la prima moglie, di Daphne du Maurier
Dedicato a tutte quelle che sentono aleggiare il fantasma delle sue ex, ma vogliono far piazza pulita del passato. Perché ormai hanno capito: è amarsi il miglior modo per farsi riamare.
7. Per innamorate deluse - Le parole che non ti ho detto, di Nicholas Sparks
Anche le grandi storie a volte finiscono. Tra incomprensioni, dubbi e mezze verità. Morale? Quello che sembra il blando e immeritato epilogo di una folle infatuazione forse è molto di più:l’ultimo round di un incontro che ci ha evitato noia e banalità.
8. Per geishe dei fornelli - Dolce come il cioccolato, di Laura Esquivel
Come cucinare quaglie ai petali di rosa (spolpando il bouquet offerto da lui) e scoprire che la seduzione è un gioco sottile che passa (anche) attraverso il cibo. Una storia per imparare a tessere la tela della malia amorosa senza temere rivali.
9. Per chi non vuole ballare da sola - Dance, Dance, Dance di Haruki Murakami
Un disastro (sentimentale) vi risucchia l’energia. Terapia d’urto: riconnettersi al mondo e ricominciare a danzare. Ma sempre sull’onda delle proprie good vibrations. Murakami docet.
10. Per bulimiche affettive - Follia, di Patrick McGrath
Ok scegliere l’impossibile senza risparmiarsi né risparmiare nulla. Ma quando il flusso dei sentimenti diventa anarchia emotiva, è l’ora di uno stop. Perché il rischio, a non dire mai no, è di farsi manipolare. Misura d’urgenza: un romanzo per ripensarci.

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domenica 10 aprile 2011

Lasciarsi andare ai sogni....

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I sogni ad occhi aperti migliorano la vita

 

Lasciatevi andare alle fantasie. Gli psicologi assicurano che sono utili. Perche' allentano le tensioni, scaricano l' aggressivita' e aumentano la capacita' di risolvere problemi, suggerendo soluzioni alternative

Fantasie e sogni ad occhi aperti non sono fatti trascurabili e privi di senso; anzi, possono rivelarsi il fondamento della serenita' e la ragione della vita. Con la fantasia superiamo i limiti della realta' e del controllo cosciente, lasciando che il pensiero vaghi libero. Molte volte, questo processo sorge da insoddisfazioni della vita quotidiana e dal bisogno di cambiare le cose, sia pure a un livello immaginativo; in altre parole, la fantasia serve da valvola di scarico, difendendoci con una specie di evasione. Tutti facciamo sogni a occhi aperti. E un fatto normale. Il fenomeno si verifica di piu' negli adulti giovani (dai 15 ai 30 anni), poco prima di addormentarsi e nei momenti di solutidine o di riposo, quando non si ha niente di preciso da fare: sono gli attimi in cui siamo "imbambolati" a guardare il soffitto o fuori dal finestrino dell' autobus. Impulsi proibiti. Un genere molto diffuso di sogni a occhi aperti riguarda cose che, nella vita reale, sono difficilmente raggiungibili: una grossa vincita al totocalcio, la conquista amorosa della diva (o del divo) del cuore, il potere. Ancora, con la fantasticheria si ha l' alleggerimento, sia pure parziale e intimo, di impulsi considerati socialmente inaccettabili come quelli aggressivi e sessuali: ecco, allora, che possiamo trascorrere qualche istante immaginando di essere una specie di Superman distruggitore di cattivi o un califfo da Mille e una notte circondato da una schiera di meravigliose odalische. Si e' parlato di valvola di scarico: in realta' , dedicandoci a questa operazione mentale alleggeriamo le tensioni interne e riusciamo, in seguito, a mantenere piu' a lungo l' attenzione e la concentrazione, ritardando la noia e la stanchezza; siamo inoltre piu' rilassati, piu' indipendenti e meno portati ad avere disturbi del comportamento. Immaginazione positiva. La capacita' di fantasticare consente di mettere alla prova, sia pure mentalmente, la risoluzione dei problemi, risparmiandoci tentativi ed errori e perdite di tempo. Possiamo fare progetti e prevederne le conseguenze. In breve, il vivere con la fantasia nel passato e nel futuro ci libera, fino a un certo punto, dalle influenze del presente.

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Di contro, alcune ricerche provano che le persone incapaci di fantasticare possono dedicarsi a eccessi alimentari, all' alcol, alla droga e ad atti di violenza; in fin dei conti, come aveva gia' sostenuto Freud, chi scarica gli impulsi aggressivi con la fantasia e' difficile che si comporti aggressivamente. Per esempio, George G. Spivack, della Devereux School in Pennsylvania (USA), ha studiato un gruppo di adolescenti con comportamento antisociale sottoponendoli a un test, una specie di gioco, in cui essi dovevano completare storie; i risultati dimostrano che questi soggetti terminavano il compito in quattro e quattr' otto, senza dare alcuno spazio alla fantasia e mostrando di avere un' immaginazione poverissima. " Il mondo interiore di quei ragazzi - commenta Spivack - " sembra un luogo alquanto deserto ". I sogni a occhi aperti, sono non solo innocui, ma utili. E certo che non bisogna esagerare; altrimenti significherebbe ritirarsi dal mondo della realta' per vivere in uno stato di isolamento e di inerzia. 

*Cattedra di Psicologia Medica Universita' di Bologna
Farne' Mario

(29 maggio 1995) - Corriere della Sera


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Sognare ad occhi aperti è un modo che noi abbiamo per estraniarci dalla realtà, a volte si pensa a qualcosa e ci ritroviamo a fantasticarci su per un pò di tempo e anche più volte… a scuola quante volte vi sarà capitato mentre la prof traduceva le versioni di latino, voi staccavate l’audio e vi tuffavate nel vostro mondo! A me succedeva spesso soprattutto con il latino, la storia e la filosofia!
Ma secondo una ricerca canadese sognare ad occhi aperti non è un modo per distrarsi e basta, è anche un meccanismo che la nostra mente adotta per risolvere i problemi più importanti. Il cervello si rilassa e anche se noi non lo sappiamo, lavora per aiutarci a capire e a risolvere cose molto complesse.
Kalina Christoff, una ricercatrice della University of British Columbia in Canada ha condotto una ricerca proprio per capire nel nostro cervello quando sognamo ad occhi aperti, ha usato la risonanza magnetica funzionale per monitorare la mente di alcuni volontari ed è stato dimostrato che nei momenti in cui fantastichiamo e sognamo una vita parallela, la nostra mente è in piena attività
Fino ad ora si pensava che il fantasticare occupasse un terzo delle nostre giornate e che fosse una perdita di tempo, ora si è capito che non è così, che anche quando ci estraniamo dalla vita reale, la nostra mente lavora proprio per lei. Il sognare ad occhi aperti ha anche delle aree del cervello a cui è associata questa attività, sono i cosiddetti circuiti di default, che sono quelle che controllano le attività mentali di routine. 
Kalina Christoff ha dichiarato: Quando si sogna ad occhi aperti non è possibile concentrarsi e portare a termine un compito immediato come leggere un libro o stare attenti in classe ma è possibile che la nostra mente stia prendendo tempo per mettere a fuoco problemi importanti, ad esempio questioni che riguardano la carriera o i rapporti sociali.

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La possibilità di sognare ad occhi aperti è concessa a tutti noi ed è ancora gratuita, forse perché non ha prezzo; ad essa si può attingere liberamente ed in qualsiasi momento ci piaccia, senza chiedere permesso, senza fare anticamera, senza aspettare l’orario migliore e soprattutto - una volta fatto fuori quell’insopportabile Super- Io, capace di rovinare ogni cosa - senza provare insostenibili sensi di colpa.
Il sogno ci mette a contatto con la parte di noi non ancora pienamente espressa e con situazioni fantasiose e poco realistiche, ma non per forza impossibili, generalmente, comunque, ben diverse da quelle a cui la quotidianità – rassicurante ma di solito piuttosto noiosa - spesso ci obbliga nostro malgrado.
Esso esercita su di noi fascino ed attrazione perché al suo interno senza pareti siamo veramente e totalmente liberi di prendere iniziative, di sperimentare atteggiamenti e comportamenti diversi dai soliti e magari di riuscire anche – con insolita disinvoltura - a fare colpo, lasciare di stucco, destare ammirazione e, alla fin fine, a riscattare la nostra immagine ai nostri occhi ed agli occhi degli altri.
Il sogno ad occhi aperti può dunque aiutarci a “fare pratica”, a rinforzare noi stessi e la nostra identità, a scoprire nuove sfaccettature che ci appartengono e, soprattutto, a metterci profondamente a contatto con ciò che vorremmo essere e realizzare.

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Se la ricchezza immaginativa riesce a collegarsi con la realtà in cui viviamo e siamo, ed a tradursi in concretezza, la nostra vita diventa luogo e tempo di continuo arricchimento ed evoluzione e la nostra personalità ha una possibilità in più di costruirsi in maniera completa ed armoniosa, fresca, sempre nuova e, allo stesso tempo, dotata di una mobile stabilità, che non è né formalismo, né immobilismo.
Il rifugio nella dimensione immaginativa è tuttavia anche spesso dettato dall’esigenza di evadere dalle situazioni difficili, frustranti o, semplicemente, non gratificanti della vita di tutti i giorni, all’interno della quale, ci piaccia o meno, dobbiamo affrontare prima di tutto noi stessi, le nostre carenze e inadeguatezze, fare i conti con l’immagine che gli altri hanno di noi ed inserirci in un andamento quotidiano non sempre sentito e voluto.
La fuga nel sogno diventa allora, in molti casi, l’unica valvola di salvezza della persona, ma l’eccessiva permanenza nel mondo della fantasia, in cui il Sé reale lascia gradualmente posto al Sé ideale, causa un rientro sempre più difficile nella dimensione concreta ed una sensazione costante di estraneità e di solitudine. 

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sabato 2 aprile 2011

Era una notte buia e tempestosa....

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Snoopy è il cane di Charlie Brown e se vive sopra il tetto della sua cuccia dove dorme, pensa, sogna, scrive romanzi con la macchina da scrivere e gioca ad impersonare un famoso pilota da caccia della prima guerra mondiale "Joe Falchetto". Immaginando di essere sopra un aereo, invece che sopra la sua cuccia, sogna di avere dei tremendi duelli aerei con il terribile Barone Rosso.
Molti dei momenti memorabili dei Peanuts sono legati al sogno di Snoopy di fare lo scrittore (di cui peraltro nessun editore vuol pubblicare gli scritti). Il suo immutabile incipit "Era una notte buia e tempestosa..." proviene dalla novella Paul Clifford, scritta nel 1830 da Edward George Bulwer-Lytton. E lo Snoopy scrittore è stato certamente caro a Schulz, che lo ha scelto per dare il suo addio ai lettori (pubblicato il 13 febbraio del 2000). Ma lo scrittore è solo uno dei sui moltissimi alter ego, primo fra tutti il pilota della prima guerra mondiale detto anche "l'asso della prima guerra mondiale". Per questo personaggio indossa sciarpa ed occhialoni e vola a bordo del suo Sopwith Camel - in effetti, la sua cuccia - combattendo il Barone Rosso la cui presenza è rivelata dai fori di pallottola che questi gli spara sulla cuccia. Quando non combatte si rifugia in un ristorantino francese con la dolce cameriera Marcie. Alle eroiche gesta del fantastico pilota è dedicata anche una canzone di Giorgio Gaber.
Snoopy diventa anche Joe Falchetto (Joe Cool nell'originale) mettendosi gli occhiali da sole - secondo la moda dell'epoca - ed atteggiandosi a studente di college nullafacente, e spesso si diverte a "trasformarsi" in svariati animali (come l'avvoltoio), sentendosele dire da tutti, che credono che un cane non possa far finta di essere un rinoceronte perché troppo piccolo per caricare le persone. È anche un avvocato, un giocatore di hockey su ghiaccio, di football e golf, un soldato nella guerra d'indipendenza degli Stati Uniti, un legionario, un capo scout, un dottore e perfino un astronauta, per citare solo alcuni dei circa centocinquanta ruoli da lui impersonati nel corso degli anni.
Il contrasto tra l'esistenza di Snoopy in un mondo di fantasia e la vita terrena di Charlie Brown è un cardine dell'umorismo e della filosofia dei Peanuts...
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Snoopy & co.
di Marco Iacona - 07/04/2010

Fonte: Arianna Editrice


Probabilmente non era “buia e tempestosa” la notte che Charles M. Schulz ideò i suoi personaggi entrati nell’immaginario dei ragazzi della nostra parte di mondo. Personaggi che rispondono al nome di Charlie Brown (suo alter ego giovanile), Linus, Lucy, Snoopy e tanti altri a formare le strisce di fumetti famose come Peanuts (“noccioline” o “personcine”) pubblicate dall’ottobre del 1950 su alcuni prestigiosi quotidiani Usa al febbraio del 2000, fino cioè alla morte (al giorno dopo per l’esattezza) del suo autore. “Notte buia e tempestosa” è più che altro il pretenzioso e poco originale incipit per un libraccio dallo scarso avvenire (ora vedremo di chi) e poco si addice – neanche come situazione meteo – a chi ha contato in vita su un “bacino d’utenza” di oltre trecentocinquanta milioni di lettori ed è strato tradotto in più di venti lingue. Lasciamo allora al cane Snoopy, bulimico dei sogni, la speranza che basti un inizio sprint con frase a effetto e punteggiatura da manuale di sintassi (<Era una notte buia e tempestosa. A un tratto, echeggiò uno sparo!>) per costruire il grande successo. Perché, e Schulz lo capì molto bene, i grandi eroi e i grandi “personaggi” si costruiscono più sui loro difetti che sui loro pregi. In primo luogo: la testardaggine di non saper scrivere un romanzo ma averci tentato mille e mille volte.

I Peanuts sono belli per questo: perché presentano con tutte le pecche possibili il mondo degli adulti oramai praticamente scomparso, ma col grande privilegio di schivare le responsabilità di una generazione divenuta invisibile. I Peanuts giocano facendo sul serio (e mai il contrario), perché la variabile tempo è sempre loro fedele alleata. Tutto può accadere perché ogni cosa è sempre uguale a se stessa cioè ai personaggi che arricchiscono le pagine delle tavole a fumetti. Charlie Brown sarà per sempre un perdente, un bambino noioso e un amico fedele, Lucy una prepotente, Linus un genio incompreso (con “potenzialità” alla Stan Laurel il nostro Stanlio): è questo il mondo dell’organico ove qualunque cosa funziona perché c’è il suo reciproco, ove tutto è previsto attimo per attimo o decennio per decennio tanto fa lo stresso. Ma come in tutti i mondi “perfetti” c’è chi va al di fuori di uno schema ordinato e c’è chi sogna di essere un altro e ci riesce davvero. In questo caso – e Schulz è ancora straordinario – non si tratta di un essere umano ma del cane Snoopy. Un insignificante bracchetto o beagle bianco dalla orecchie nere, inizialmente soltanto “cane” ma col tempo – dagli anni Sessanta in poi – bestiolina pensante e spesso pensierosa con tanto di amici e parenti (sette fra fratelli e sorelle), che ci parla della legittimità dei sogni e di come in fondo esista una possibilità di fuga da quel mondo della “perfezione”, ove anche i diversivi sono spesso uguali a se stessi. Eccolo così campione di golf e di hockey, surfista, medico chirurgo, tennista, ginnasta, pesce carnivoro, avvocato, giocatore di baseball, serpente a sonagli, feroce avvoltoio, amico e confidente sia degli uccelli sia degli insetti e studente alla moda; e poi ancora: “filosofo”, sergente della legione straniera e soprattutto nemico giurato del(lo stupido) gatto dei vicini – a volte un vero mostro – asso della prima guerra mondiale e avversario del mitico “barone rosso” (al secolo: Manfred von Richthofen). I duelli fra il vero eroe della Grande guerra e l’aviatore con tanto di casco e occhialoni non avvengono tuttavia in nome di “banali” categorie morali come bene e male, perché la dimensione quasi parsifaliana della lucida follia e dell’immaginazione a quattro zampe sovrasta e di gran lunga quella reale e storica. Snoopy sta sognando mica sta scrivendo o riscrivendo una pagina di storia… Ecco perché il nostro eroe di carta è soprattutto un “tipo” che se ne infischia del mondo e degli umani; lui costruisce le sue avventure mietendo “vittime” a gogó (a destra e sinistra, sopra e sotto), marciando sulle fatiche di chi può capitargli a portata di naso. Impossibile d’altra parte non capire chi sia in realtà Snoopy e quale idea egli abbia delle regole, se ci si concentra sul suo modo di stare al mondo: non dentro il suo di mondo, cioè la cuccia (che pare contenga ogni sorta di oggetti, dai libri ai quadri), ma fuori e più in alto, cioè sul tetto della medesima casetta probabilmente più vicino al luogo dei sogni; “disturbato” da Charlie Brown, il suo padrone, che sovente corre a comunicargli questa o quella notizia. <Ha telefonato la tua maestra di aerobica…>; oppure: <Ecco il toast che ti ho promesso! Mi spiace, ma non abbiamo cioccolato caldo per inzupparlo…>.
Come scrittore, si diceva, Snoopy è un fallimento nonostante certa “aristocratica” pigrizia gli consenta, eccome, di dedicarsi ai lavori sedentari. Picchiare sui tasti di una macchina da scrivere e abbozzare improbabili biografie lo è senz’altro (il massimo per un egocentrico: scrivere la storia della propria vita ma non conoscere il nome del padrone a cui si è stati affidati…). Tenta oggi e tenta domani, sono pochi gli editori che leggono i manoscritti che lui regolarmente invia; ma più che i fallimenti (che non esistono per i sognatori!) Snoopy ama la provocazione anzi la reazione “esasperata” dei redattori che certificano che il suo sogno è già realtà e che la sua carriera di scrittore sfortunato è già avviata. Le lettere che gli giungono dalle redazioni sono di questo tenore: <Caro Collaboratore, le rispediamo il suo pessimo racconto. È il racconto più stupido mai letto da noi. La preghiamo di non mandarcene più. Per favore, per favore!>; oppure: <Caro Collaboratore, abbiamo ricevuto il tuo ultimo manoscritto. Perché ce lo hai mandato? Che cosa ti abbiamo fatto di male?>.
Ma se è vero che tutti i sogni del nostro bracchetto diventeranno prima o poi realtà (come giocare a basket, incrociare i guantoni con Lucy – nel suo caso un solo guantone attaccato al naso – e diventare un capo scout), anche quello di veder pubblicato il suo primo lavoro finirà, finalmente, per avverarsi. Immaginiamo allora il giorno in cui su un banchetto costruito ad arte i suoi lettori avranno in dono – oltre la copia del libro – l’inconfondibile firma del novello Leone Tolstoj cioè l’impronta di una simpatica zampetta. Il “barone rosso” sarà forse imbattibile (anche se un giorno…), ma un onesto beagle sa combattere ben altre battaglie. E dopo la prima “vittoria”? provaci ancora Snoopy!



Snoopy Contro il Barone Rosso   

Giorgio Gaber

La B-side del 45 giri Gulp Gulp è la cover di un fortunato successo americano (Snoopy versus the Red Baron) portato al successo dai Royal Guardsmen. Eccone il testo


Actung Actung!
Vuoi cantare la storia di Barone tedesco di Grande Germania?

Questa è la storia senza pietà
Che accadde in Germania tanto tempo fa
Un rombo ed un tuono in cielo si udì
L’uccello di guerra nacque così
In cerca di gloria qualcuno partì
E col suo apparecchio veloce salì
Ma lassù più di uno la sua vita lasciò
Il Barone Rosso tutti sterminò

Uno dieci cento e forse anche di più
Tutti gli aerei cadevano giù
E su nel cielo c’era solo lui
Il dannato Barone non sbagliava mai

Ogni speranza piano piano svanì
Quando un giorno un eroe in cielo salì
Era un piccolo cane col nasone all’insù
Il suo nome era Snoopy non so dirvi di più
Il Barone Rosso lo attaccò
Ed in cielo la battaglia divampò
Il piccolo Snoopy fu abbattuto così
Il Barone tedesco roteando sparì

Uno dieci cento e forse anche di più
Tutti gli aerei cadevano giù
E su nel cielo c’era solo lui
Il dannato Barone non sbagliava mai

Ah ah ah ah ah!
Piccolo stupido cane, alles caput!

Col paracadute Snoopy si salvò
E alla vendetta si preparò
Decollò col suo aeroplano ma il Barone fuggì
Se guardate nel cielo sono ancora lì

Uno dieci cento e forse anche di più
Tutti gli aerei cadevano giù
E su nel cielo c’era solo lui
Il dannato Barone non sbagliava mai.


 The Royal Guardsmen   
Snoopy Vs The Red Baron

 

Testo:

After the turn of the century
In the clear blue skies over Germany
Came a roar and a thunder man has never heard
Like the screaming sound of a big war bird.
Up in the sky, a man in a plane
Baron Von Richthofen was his name
Eight-y men tried and eight-y men died
Now they're buried together on the country side.

Chorus:
Ten, Twenty, thirty, forty, fifty or more
The bloody Red Baron was rollin' up the score
Eight-y men died trying to end that spree
Of the Bloody Red Baron of Germany.

In the nick of time, a hero arose
A funny looking dog with a big black nose
He flew into the sky to seek revenge
But the Baron shot him down
"Curses, foiled again!"

(Chorus)

Now Snoopy had swore that he'd get that man
So he asked the Great Pumpkin for a new battle plan
He challenged the German to a real dog fight
While the Baron was laughing he got him in his sights.
That bloody Red Baron was in a fix
He tried everything but he'd run out of tricks
Snoopy fired once and he fired twice
And that Bloody Red Baron went spin-nin out of sight.

(Chorus x 2)



" Era una notte buia e tempestosa... "


Snoopy vive finalmente il sogno di scontrarsi col Barone Rosso.


di Marco Calcaterra, pubblicato il

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I Peanuts, in pieno 2010, a circa dieci anni dalla scomparsa del loro creatore, Charles M. Schulz, restano fra i personaggi dei fumetti più amati da lettori di ogni età. Il tempo non ha minimamente scalfito il fascino di una serie che ha saputo far ridere, commuovere e riflettere intere generazioni, grazie a un cast di personaggi strepitoso e a brillanti colpi di genio di Schulz, ormai entrati nella leggenda. Fra questi ultimi, meritano un posto d'onore i duelli aerei, rigorosamente immaginari, fra Snoopy e il Barone Rosso, duelli che da oggi sarà possibile rivivere sulla propria TV grazie a Smart Bomb Interactive, responsabile di Snoopy Flying Ace, gioco per Xbox Live Arcade in vendita al prezzo di 800 Microsoft Point.

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http://www.cartonionline.com/personaggi/peanuts.htm 

 http://it.wikipedia.org/wiki/Snoopy