On the Book

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PoesieRacconti.it


martedì 15 febbraio 2011

TRA UN CENTINAIO D' ANNI... R. Tagore

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Chi sei tu, lettore, che leggi

le mie poesie tra un centinaio di anni?

Non posso inviarti un solo fiore

dalla ricchezza di questa primavera,

una sola striatura d’oro

dalle nubi lontane.

Apri le porte e guardati intorno.

Dal tuo giardino in fiore cogli

i ricordi fragranti dei fiori sbocciati

cent’anni fa.

Nella gioia del tuo cuore possa tu sentire

la gioia vivente che cantò

in un mattino di primavera,

mandando la sua voce lieta

attraverso cent’anni.


DA : IL GIARDINIERE

R. TAGORE

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IL SOGNO DEL POETA

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Sogno di svegliarmi su una spiaggia
e intorno a me il mare ha portato bianche conchiglie.

E da ognuna escono parole che insieme formano
la più bella delle poesie che mai abbia udito.

Allora mi sveglio
e subito cerco di trascrivere quelle parole
che avevano abitato il mio sogno.

Ma un altro è il ricordo,
e presto mi accorgo che di quella armonia
altro non rimane che una vuota grafia.
 

ARTURO LINI


" Dallo champagne ai Salmi " L'avventura di un banchiere di Wall Street diventato monaco di periferia

Autore/i: Henry Quinson

Editore: San Paolo Edizioni


Collana: Attualità e storia

Formato: Libro rilegato
 


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Champagne o Salterio? Henry Quinson è un traider di successo, di quelli abituati a muovere milioni di dollari in una giornata. Figlio d'arte, francese d'origine, ha a lungo vissuto in America dove suo padre lavorava a Wall street. Il 23 agosto del 1989 egli si trova su un aereo diretto a Londra dove il patron new-yorkese di una grande banca d'affari americana vuole incontrarlo per convincerlo a spostarsi a Londra come responsabile della tesoreria internazionale. Nella classe business, subito dopo il decollo, una hostess gli offre dello champagne. Quinson non dice di no, però da alcuni mesi ha ripreso a pregare, a recitare i salmi. Letteralmente in una mano ha lo champagne nell'altra il salterio. Contro ogni attesa vince il salterio. Quinson rinuncia al lavoro in banca e decide di farsi monaco.


Editore & Imprint: San Paolo Edizioni

Pagine: 224

VALORE....



Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finche' dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si e' risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varra' piu' niente e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordare di che .
Considero valore sapere in una stanza dov'e' il nord, qual e' il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l'uso del verbo amare e l'ipotesi che esista un creatore.

Molti di questi valori non ho conosciuto.

ERRI DE LUCA

CHI SONO ? Di Aldo Palazzeschi

Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell'anima mia:
"follia".
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell'anima mia:
"malinconia".
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c'è che una nota
nella tastiera dell'anima mia:
"nostalgia".
Son dunque... che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell'anima mia.

[da Poesie]


ALDO PALAZZESCHI
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La fotocamera di Izis...

La fotocamera di Izis è una scatola magica. Dalle sue mani fioriscono come per incanto esseri e cose che si aprono e si animano come quei fiori di carta giapponesi che, posti in un bicchier d' acqua, diventano all' istante esseri o cose di un immediato passato. Più tardi, deposte fra le pagine di un libro, sembrano dormire nei loro letti di carta. 
Ma il lettore apre il libro
e le ridesta alla vita quando vuole, e le riconosce
anche se non le ha mai viste prima.

Jacques Prévert

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Epistola giovanile di Giacomo Leopardi (1819)

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Sulla tentata fuga sventata dal padre anticipiamo subito questa accorata sua lettera del luglio 1819 (che contiene una grande coscienza di sé e del proprio valore). Dopo il fatto, in casa non si parlavano, e così gli scrisse questa lettera; essa è rispettosa, ma è piuttosto sferzante, soprattutto quando la chiude con "se la sorte non ha voluto ch'Ella si possa lodare di lui (di questo suo figlio), non ricusi di concedergli quella compassione che non si nega neanche ai malfattori ".

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" Mio Signor Padre. Sebbene dopo aver saputo quello ch'io avrò fatto (il tentativo di fuga - Ndr.), questo foglio le possa parere indegno di esser letto, a ogni modo spero nella sua benignità che non vorrà ricusare [rifiutare] di sentire le prime e ultime voci di un figlio che l'ha sempre amata e l'ama, e si duole infinitamente di doverle dispiacere. Ella conosce me, e conosce la condotta ch'io ho tenuta fino ad ora, e forse, quando voglia spogliarsi d'ogni considerazione locale, vedrà che in tutta l'Italia, e sto per dire in tutta l'Europa, non si troverà altro giovane, che nella mia condizione, in età anche molto minore, forse anche con doni intellettuali competentemente [notevolmente] inferiori ai miei, abbia usato la metà di quella prudenza, astinenza da ogni piacer giovanile, ubbidienza e sommissione [sottomissione] ai suoi genitori, ch'ho usata io. Per quanto Ella possa aver cattiva opinione di quei pochi talenti che il cielo mi ha conceduti, Ella non potrà negar fede intieramente a quanti uomini stimabili e famosi mi hanno conosciuto, ed hanno portato di me quel giudizio ch'Ella sa, e ch'io non debbo ripetere. Ella non ignora che quanti hanno avuto notizia di me, ancor quelli che combinano [concordano] perfettamente colle sue massime, hanno giudicato ch'io dovessi riuscir qualche cosa non affatto ordinaria, se mi fossero dati quei mezzi che nella presente costituzione del mondo, e in tutti gli altri tempi, sono stati indispensabili per fare riuscire un giovane che desse anche mediocri speranze di sé. Era cosa mirabile come ognuno che avesse avuto anche momentanea cognizione di me, immancabilmente si maravigliasse ch'io vivessi tuttavia [ancora) in questa città, e com' Ella sola fra tutti, fosse di contraria opinione, e persistesse in quella irremovibilmente. Certamente non l'è ignoto che non solo in qualunque città alquanto viva, ma in questa medesima, non è quasi giovane di 17 anni che dai suoi genitori non sia preso di mira, affine di collocarlo in quel modo che più gli conviene: e taccio poi della libertà ch'essi « tutti » hanno in quell'età nella mia condizione, libertà di cui non era appena un terzo quella che mi s'accordava ai 21 anno. Ma lasciando questo, benché io avessi dato saggi di me, s'io non m'inganno, abbastanza rari e precoci, nondimeno solamente molto dopo l'età consueta, cominciai a manifestare il mio desiderio ch'Ella provvedesse al mio destino, e al bene della mia vita futura nel modo che le indicava la voce di tutti. Io vedeva parecchie famiglie di questa medesima città, molto, anzi senza paragone meno agiate della nostra, e sapeva poi d'infinite altre straniere, che per qualche leggero barlume d'ingegno veduto in qualche giovane loro individuo, non esitavano a far gravissimi sacrifici affine di collocarlo in maniera atta a farlo profittare de' suoi talenti. Contuttoché si credesse da molti che il mio intelletto spargesse alquanto più che un barlume, Ella tuttavia mi giudicò indegno che un padre dovesse far sacrifizi per me, né le parve che il bene della mia vita presente e futura valesse qualche alterazione al suo piano di famiglia. Io vedeva i miei parenti scherzare cogl'impieghi che ottenevano dal sovrano, e sperando che avrebbero potuto impegnarsi con effetto anche per me, domandai che per lo meno mi si procacciasse qualche mezzo di vivere in maniera adattata alle mie circostanze, senza che perciò fossi a carico della mia famiglia. Fui accolto colle risa, ed Ella non credé che le sue relazioni, in somma le sue cure si dovessero neppur esse impiegare per uno stabilimento competente [per trovare una degna sistemazione] di questo suo figlio. Io sapeva bene che i progetti ch'Ella formava su di noi, e come per assicurare la felicità di una cosa ch'io non conosco, ma sento chiamar casa e famiglia, Ella esigeva da noi « due » il sacrifizio, non di roba né di cure, ma delle nostre inclinazioni, della gioventù, e di tutta la nostra vita. Il quale essendo io certo ch'Ella né da Carlo né da me avrebbe mai potuto ottenere, non mi restava nessuna considerazione a fare su questi progetti, e non potea prenderli per mia norma in verun modo. Ella conosceva ancora la miserabilissima vita ch'io menava per le orribili malinconie, ed i tormenti di nuovo genere che mi procurava la mia strana immaginazione, e non poteva ignorare quello ch'era più ch'evidente, cioè che a questo, ed alla mia salute che ne soffriva visibilissimamente, e ne sofferse sino da quando mi si formò questa misera complessione [divenni di così debole costituzione], non v'era assolutamente altro rimedio che distrazioni potenti, e tutto quello che in Recanati non si poteva mai ritrovare. Contuttociò Ella lasciava per tanti anni un uomo del mio carattere, o a consumarsi affatto in istudi micidiali, o a seppellirsi nella più terribile noia, e per conseguenza, malinconia, derivata dalla necessaria solitudine, e dalla vita affatto disoccupata, come massimamente negli ultimi mesi. Non tardai molto ad avvedermi che qualunque possibile e immaginabile ragione era inutilissima a rimuoverla dal suo proposito, e che la fermezza straordinaria del suo carattere, coperta da una costantissima dissimulazione, e apparenza di cedere, era tale da non lasciar la minima ombra di speranza. Tutto questo, e le riflessioni fatte sulla natura degli uomini, mi persuasero, ch'io benché sprovveduto di tutto, non dovea confidare se non in me stesso. Ed ora che la legge mi ha già fatto padrone di me, non ho voluto più tardare a incaricarmi della mia sorte. Io so che la felicità dell'uomo consiste nell'esser contento, e però più facilmente potrò esser felice mendicando, che in mezzo a quanti agi corporali possa godere in questo luogo. Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d'ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz'altro pensiero. So che sarò stimato pazzo, come so ancora che tutti gli uomini grandi hanno avuto questo nome. E perché la carriera di quasi ogni uomo di gran genio è cominciata dalla disperazione, perciò non mi sgomenta che la mia cominci così. Voglio piuttosto essere infelice che piccolo, e soffrire piuttosto che annoiarmi, tanto più che la noia, madre per me di mortifere malinconie, mi nuoce assai più che ogni disagio del corpo. I padri sogliono giudicare dei loro figli più favorevolmente degli altri, ma Ella per lo contrario ne giudica più sfavorevolmente d'ogni altra persona, e quindi non ha mai creduto che noi fossimo nati a niente di grande: forse anche non riconosce altra grandezza che quella che si misura coi calcoli, e colle norme geometriche. Ma quanto a ciò molti sono d'altra opinione; quanto a noi, siccome il disperare di se stessi non può altro che nuocere, così non mi sono mai creduto fatto per vivere e morire come i miei antenati. Avendole reso quelle ragioni che ho saputo della mia risoluzione, resta ch'io le domandi perdono del disturbo che le vengo a recare con questa medesima e con quello ch'io porto meco. Se la mia salute fosse stata meno incerta avrei voluto piuttosto andar mendicando di casa in casa che toccare una spilla del suo. Ma essendo così debole come io sono, e non potendo sperar più nulla da Lei, per l'espressioni ch'Ella si è lasciato a bella posta più volte uscire disinvoltamente di bocca in questo proposito, mi son veduto obbligato, per non espormi alla certezza di morire di disagio in mezzo al sentiero il secondo giorno, di portarmi [comportarmi] nel modo che ho fatto. Me ne duole sovranamente, e questa è la sola cosa che mi turba nella mia deliberazione, pensando di far dispiacere a Lei, di cui conosco la somma bontà di cuore, e le premure datesi per farci viver soddisfatti nella nostra situazione. Alle quali io son grato sino all'estremo dell'anima, e mi pesa infinitamente di parere infetto di quel vizio che abborro quasi sopra tutti, cioè l'ingratitudine. La sola differenza di principii, che non era in verun modo appianabile, e che dovea necessariamente condurmi o a morir qui di disperazione, o a questo passo ch'io fo, è stata cagione della mia disavventura. È piaciuto al cielo per nostro gastigo che i soli giovani di questa città che avessero pensieri alquanto più che Recanatesi, toccassero a Lei per esercizio di pazienza, e che il solo padre che riguardasse questi figli come una disgrazia, toccasse a noi. Quello che mi consola è il pensare che questa è l'ultima molestia ch'io le reco, e che serve a liberarla dal continuo fastidio della mia presenza [qui il poeta allude palesemente al primo tentativo di fuga da Recanati ], e dai tanti altri disturbi che la mia persona le ha recati, e molto più le recherebbe per l'avvenire. Mio caro Signor Padre, se mi permette di chiamarla con questo nome, io m'inginocchio per pregarla di perdonare a questo infelice per natura e per circostanze. Vorrei che la mia infelicità fosse stata tutta mia, e nessuno avesse dovuto risentirsene, e così spero che sarà d'ora innanzi. Se la fortuna mi farà mai padrone di nulla, il mio primo pensiero sarà di rendere quello di cui ora la necessità mi costringe a servirmi. L'ultimo favore ch'io le domando, è che se mai le si desterà la ricordanza di questo figlio che l'ha sempre venerata ed amata, non la rigetti come odiosa, né la maledica; e se la sorte non ha voluto ch'Ella si possa lodare di lui, non ricusi di concedergli quella compassione che non si nega neanche ai malfattori ".

Recanati: senza data, ma comunque a fine di luglio 1819 (dopo il tentativo di fuga).
(cfr. in Antologia della letteratura Italiana, a cura di Luigi Ferrante - vol IV dei 14 volumi. Fabbri Ed. 1965)


http://cronologia.leonardo.it/leopardi/leop001.htm http://www.leopardi.it/zibaldone6.php

http://www.giulianovaweb.it/Rivista_Madonna_dello_Splendore/Riviste/23_04/Foto/065-04.jpg

Perché dovresti tenere un diario personale

 

7 buoni motivi per tenere quotidianamente un diario personale dei tuoi pensieri e delle tue esperienze.

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       “Scrivere un diario è un viaggio dentro noi stessi.”
Christina Baldwin

Se dovessi citare alcune delle mie abitudini “cambia la vita Beghelli” preferite, tenere un diario personale sarebbe sicuramente tra queste.
Instaurare e mantenere l’abitudine di scrivere e descrivere a fine giornata le proprie esperienze, le lezioni imparate, i propri pensieri ed i risultati ottenuti è un’attività chiave per chi persegue la propria crescita personale. Dalla scrittura infatti discende la consapevolezza, dalla consapevolezza nasce il cambiamento e dal cambiamento deriva la crescita.
Non sei ancora convinto? Eccoti allora 7 buoni motivi per i quali dovresti tenere un diario personale:
  1. Per diventare un osservatore. Tenere un diario ti spinge ad osservare con maggiore attenzione le tue esperienze, ma soprattutto ti spinge ad osservare gli aspetti positivi, ovvero quegli elementi da cui trarre delle lezioni. Non solo: l’abitudine di scrivere un diario personale ti insegna a non dare nulla per scontato, osservando le tue giornate con una nuova luce.
  2. Per non perdere nessuna idea. Ti è mai capitato di avere un’idea grandiosa per poi dimenticartene qualche ora più tardi. Grazie al tuo diario personale potrai tenere traccia di qualsiasi cosa ti salti in mente: il tuo diario è lì per raccogliere silenzioso e senza giudizi le tue idee (per quanto strane possano essere).
  3. Per memorizzare le tue idee. Il semplice atto dello scrivere è di per sé una delle tecniche di memorizzazione più efficaci a nostra disposizione. Utilizza il tuo diario per registrare e memorizzare le tue note.
  4. Per dare concretezza ai tuoi pensieri. A volte tradurre in parole i nostri pensieri può non essere immediato. Abbiamo bisogno di rielaborare la nostra idea iniziale, dandole coerenza. Questo semplice esercizio può essere l’ago della bilancia che separa un’idea passeggera da un sogno realizzato.
  5. Per sviluppare le tue idee. Quando raccogli un’idea nel tuo diario personale, torni a pensare attivamente a questa idea. Magicamente dall’idea iniziale sgorgano decine di altre idee, finché una semplice intuizione si trasforma in progetto.
  6. Per imparare la lezione. In un articolo precedente ti ho parlato di 5 lezioni che la vita mi ha insegnato. Senza un diario non avrei mai potuto scrivere quel post, ma, cosa ancora più importante, non avrei mai interiorizzato quelle lezioni. La vita ama metterci di fronte alle stesse situazioni più e più volte: perché ripetere gli stessi errori?
  7. Per tracciare i tuoi progressi. Abbiamo visto come i siti di personal analytics stiano tracciando la nuova tendenza della crescita personale, ma la realtà è che non hai bisogno dell’ultimo giochino della Nike per tracciare i tuoi progressi: è sufficiente il tuo diario personale. Inoltre, rileggere quali traguardi sei riuscito a raggiungere nel passato ti permette di affrontare le nuove sfide con una prospettiva differente.
Lettore: ok, mi hai convinto: inizierò a scrivere il mio diario personale! Ma, dimmi un po’: conosci qualche programmino carino per farlo?!

Non hai bisogno dell’ultimo ritrovato della NASA per tenere traccia dei tuoi pensieri quotidiani, ma senza dubbio esistono alcuni programmi interessanti per farlo al meglio: io ho scelto Evernote per la sua praticità e per la possibilità di prendere note anche sul mio iPhone, ma possono fare al tuo caso anche Google Docs o la vecchia accoppiata carta + penna!

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