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PoesieRacconti.it


sabato 6 agosto 2011

Le Comte de Monté-Cristo

Alexandre Dumas

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Alexandre Dumas, con Il Conte di Montecristo, realizzò un piccolo miracolo letterario: riuscì infatti a scrivere – prima nella classica forma del feuilleton a puntate, poi nella vera e propria edizione in volume – un’opera monumentale, eppure di grandissimo successo fin dalla sua prima pubblicazione; un romanzo popolare per la trama ricca di intrecci e colpi di scena, eppure di grande valore letterario. E soprattutto, riuscì in quello a cui ogni scrittore ambirebbe: creare un archetipo, una figura emblematica di una condizione interiore.

Se Otello è il simbolo universale della gelosia e Ulisse dell’astuzia, il Conte di Montecristo, alias Edmond Dantès, è l’incarnazione letteraria del desiderio di vendetta, della rivincita del singolo contro le ingiustizie della società. La vittima dell’invidia e della sete di potere dei suoi calunniatori che si rialza dalla polvere e  annienta i suoi nemici, nell’eterna lotta tra bene e male. Ma, nell’opera di Dumas, il bene vince non per giustizia divina: anzi, grazie al ricorso, da parte del protagonista,  alla stessa arma dell’inganno  usata contro di lui. In questo Il Conte di Montecristo è un’opera estremamente moderna per i suoi tempi ed è, in fondo, la storia di un eroe borghese, che con l’uso – quasi diabolico – della ragione, del denaro e della conoscenza dell’animo umano, vince con le sole sue forze un sistema di potere che schiaccia qualsiasi cosa possa minacciarlo.

Ambientato nella Francia della Restaurazione e della monarchia di Luigi Filippo, il romanzo di Dumas, attraverso le vicende dei tanti personaggi che si intrecciano, tratteggia anche un grande affresco della società francese ed europea di metà Ottocento. 

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Da dove cominciare? Edmond è un elenco di alias... Edmond è il Conte di Montecristo, Sinbad il marinaio,  l'Abbé Busoni, Signor Wilmore. A volte assume un ruolo diverso nel giro di pochi minuti. Tutti questi nomi sono maschere, però, miraggi, atti a  distrarre gli altri - e noi - dalla sua nobile e straordinaria interiorità. Ci sono così tante sfaccettature della personalità di Edmond... egli possiede tutto ciò che una persona possa mai desiderare, ma lui non lo usa per le "cose ​​di questo mondo" .Il suo è un intangibile obiettivo, quasi etereo, qualcosa di inestimabile e non quantificabile, e fugace. Dantès, trasformato dal tesoro di Montecristo in un archetipo, non è più Dantès. Toccato dall'oro alchemico dell'Abate Faria, Dantès è uno spettro «che si fa chiamare Montecristo, uno spettro che non appartiene più a questo mondo e che non si concede ai bisogni comuni dell'umanità», scrive Schopp.


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Stampato per la prima volta e suddiviso in puntate su una rivista fra il 1844 e il 1846, “Il Conte Di Montecristo”, esordio letterario di Alexandre Dumas, ebbe immediatamente un successo straordinario, grazie all’originalità della trama e dello stile proposto dall’autore. Quello di Dumas è infatti un romanzo intriso d’avventura e di percorsi che lo affiancano, per molti aspetti, al giallo. Anche se può sembrare inconciliabile alle caratteristiche appena elencate, la vera particolarità del libro consiste però nella profonda e accurata analisi che Dumas compie sulla psicologia dei suoi personaggi e, più in generale, sui sentimenti che inquinano l’animo umano. Inoltre, l’autore illumina nei suoi angoli più oscuri la società e la situazione politica e culturale della prima metà dell’Ottocento, fornendoci un’importante documentazione sulla vita del tempo. Per quanto concerne la trama del romanzo, essa è costruita su un intreccio di piccole storie narranti le gesta di personaggi che apparentemente non hanno nulla a che fare fra loro: queste storie però, con il procedere del romanzo, si ricollegano le une alle altre, sino a condurre al momento di massima tensione, affollato da numerosi colpi di scena nei quali tutti i nodi disseminati lungo il cammino da Dumas tornano inevitabilmente al pettine. L’aspetto più appassionante dell’intera storia è l’ingegno del protagonista che, imprigionato nei sotterranei del Castello D’If dalle brame di potere di un magistrato e dalla gelosia di due rivali, dopo quattordici anni evade, si appropria di un antico tesoro e forgia una nuova identità. La sua astuzia gli permetterà così di presentarsi nell’alta società parigina con il titolo di “Conte Di Montecristo” e di insinuarsi nelle vite dei suoi nemici divenuti ormai ricchi grazie alle loro scorrettezze. Come un serpente che striscia per poi prepararsi a mordere, il Conte si guadagnerà la fiducia dei suoi antagonisti per poi distruggere le loro famiglie dall’interno; la vendetta verrà però celata dal conte con tale abilità recitativa che i suoi nemici, sino alla rivelazione finale, non sospetteranno minimamente che sia lui l’architetto delle disgrazie che li perseguitano. Con la stessa abilità con cui il protagonista si introduce nella società di Parigi, Dumas ci cala e ci guida nell’oscuro labirinto psicologico di un uomo condannato a perdere un futuro assolato di felicità, a causa della fatalità della sorte; con maestria impareggiabile e senza quasi farsi accorgere, l’autore ci immerge infatti nell’oceano della mente del protagonista. Dalla disperazione per aver perduto un padre e la donna amata, Dumas ci trascina lungo le strade della punizione divina della quale Montecristo si fa portatore; dalla coscienza del protagonista che il desiderio di vendetta ha sommerso, alla schiacciante consapevolezza di aver violato un limite e di essere così divenuto peggiore dei suoi stessi rivali. Ed è nel momento in cui il singulto del nemico dirada la nebbia dell’odio che opprimeva la mente di Montecristo, che questi capirà che la vita perduta fra le buie pareti del Castello D’If non tornerà più, e che nemmeno la vendetta potrà restituirgliela. Nell’attimo in cui viene fulminato da questa consapevolezza, il percorso tracciato per lui da Dumas incontra un’inaspettata svolta: quella del perdono e della ricerca della redenzione. Così facendo, l’autore abbatte la struttura innalzata sulle fondamenta dell’incubo, per spingere Montecristo a liberarsi della maschera indossata per compiere la vendetta e tornare ad essere il vecchio Edmond Dantes, che la prigionia e l’odio avevano ucciso. Egli potrà dimenticare l’orrore, seppellirlo nel terreno umido del passato e ricominciare una nuova vita, con lo sguardo finalmente illuminato dalla prospettiva di un futuro diverso.

Recensione a cura di Giovanni Perisi


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" Vivete dunque e siate felici, figli prediletti del mio cuore, e non dimenticate mai che, fino al giorno in cui Iddio si degnerà di svelare all’uomo l’avvenire, tutta l’umana saggezza sarà riposta in queste due parole: aspettare e sperare "

Alexandre Dumas, Il Conte di Montecristo

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" La notte sfavillava di stelle. Erano in cima alla salita di Villejuif, sulla spianata da dove si vede Parigi che, come tetro mare, agita i suoi milioni di lumi che sembrano tutti fosforescenti, più numerosi e mobili di quelli dell’oceano, che non conoscono bonaccia, che si urtano sempre, e sempre s’infrangono, e sempre s’inghiottono fra loro. Il conte scese e fece qualche passo, solo, e dopo un cenno della mano, la carrozza si scostò di qualche metro. Allora considerò lungamente, e con le braccia incrociate, quella fornace in cui vengono a fondersi, a torcersi tante di quelle idee che dopo essere fermentate nel magma incandescente, sprizzano per andare ad agitare il mondo. Quindi allorché ebbe ben fissato il suo sguardo possente sopra quella nuova Babilonia:
«Grande città!» mormorò, chinando la testa e congiungendo le mani come pregando. «Non sono ancora sei mesi che ho oltrepassato le tue porte. Lo spirito della Provvidenza che credevo mi vi avesse condotto, ora me ne allontana trionfante. Il segreto della mia presenza fra le tue mura l’ho confidato soltanto a Dio, che solo ha potuto leggere nel mio cuore, solo sa che mi ritiro senza odio, né orgoglio, ma non senza dispiacere, solo sa che non ho fatto uso né per me, né per vane cause, del potere di cui mi hai fornito. Oh gran città! Nel tuo seno palpitante ritrovai ciò che cercavo, minatore paziente, ho rimescolato le tue viscere per farne sortire il male; ora la mia opera è compiuta, quella che ho creduto mia missione è terminata, ora tu non puoi più offrirmi né gioia, né dolori: addio Parigi! addio!»
E volse lo sguardo ancora sulla vasta pianura, come quello di un genio notturno, quindi, passando la mano sulla fronte, risalì nella carrozza che si chiuse dietro di lui, e disparve ben presto dall’altra parte della salita in un nugolo di polvere. "


(Alexandre Dumas)
(tratto da: “Il conte di Montecristo”)






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