On the Book

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PoesieRacconti.it


sabato 12 febbraio 2011

La vita che diventa romanzo

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Da cercatore d'oro a scrittore picaresco

Jack London, la vita
che diventa romanzo


di Cecilia Moretti  

Scava fino a non sentirle più, quelle mani callose e piene di geloni. Setaccia la terra scura con gli occhi attenti del predatore, per non lasciarsi sfuggire neanche il più impercettibile bagliore della più sottile pagliuzza. Percorre il letto gelido del Klondike avanti e indietro, senza pace. Vuole l’oro, Jack London. È il 1898, ha 21 anni e cerca la sua fortuna nelle lande candide e deserte dello Yukon, su su, dove il Canada sfiora l’Alaska e dove solo per pochi giorni l’anno il sole ha la forza di sciogliere i ghiacci. Lì Paperon de’ Paperoni ha trovato la pepita “uovo d’anatra” e ha iniziato la sua storia, lì sono accorsi trasognati centinaia e centinaia di uomini che non avevano più niente da perdere, che consideravano meta già l’avventura del viaggio, che volevano tendere una mano al destino, chissà che magari non si ricordasse di loro. Lì, a Dawson City, oltre le montagne, il giovane London cercatore d’oro sceglie una capanna per proteggersi dall’inverno, prende due assi di legno e costruisce la sua scrivania, per fermare su un foglio le parole anche di questa avventura.Non porta altro dal viaggio, niente lingotti o setacci pieni d’oro, ma ancora materiale per i suoi scritti: lettere, articoli, romanzi, racconti, sempre impregnati di vita, la sua. Più picaresca dei libri, più densa di quella di qualsiasi suo protagonista, al punto da sembrare essa stessa una creatura letteraria di lui, la più avventurosa e meglio riuscita. Dalla nascita alla morte, nulla può essere più perfettamente londoniano della sua vita. Flora, sua madre, una ragazza aristocratica ribelle, si dedica allo spiritismo e tenta il suicidio proprio mentre lo aspetta, perché abbandonata dal padre del bambino, un astrologo un po’ giornalista, un po’ avvocato e un po’ ciarlatano, che non lo vorrà riconoscere mai. Riesce a nascere Jack, a San Francisco, e viene allevato da una vecchia schiava nera, prende il cognome del secondo compagno della madre, un buon uomo a cui qualsiasi affare va incredibilmente male e fa di tutto un po’.Vende sottaceti, fa lo strillone di giornali, lavora in una fabbrica di conserve di salmone, è operaio in una centrale termica. E nel frattempo va a scuola, quando se lo può permettere, e divora libri. Legge tutto quello che Ina Coolbrith, la bibliotecaria di Oakland, gli allunga quando, bambino, va a rifugiarsi per qualche ora nella biblioteca comunale, a riposarsi un po’, arrampicato sulle vite degli altri. A 15 anni si fa prestare dalla vecchia tata nera 300 euro e costruisce Razzle Dazzle, una barchetta che ricorda un guscio di noce e che, quando il vento spinge abbastanza, lo porta fino a rubare le ostriche dagli allevamenti nella baia. Si infiamma di passione politica e a 17 anni è in marcia su Washington dalla parte dei disoccupati. A 18 passa un mese in gattabuia, causa vagabondaggio nei pressi delle cascate del Niagara. Va in luna di miele in bicicletta, caccia le foche, frequenta contrabbandieri, beve al saloon del porto, esporta il surf negli Stati Uniti. E intanto viaggia e gira tutto il mondo, con i vestiti laceri che odorano forte di mare e nausea, i capelli biondi scompigliati al vento, in bocca il sapore di terre lontane. Esplora, guarda, scatta foto, prende appunti, ma, soprattutto, riempie la testa di immagini, quelle stesse che pullulano le pagine dei suoi libri. Perché a un certo punto le deve scrivere. E allora capisce che è quella la sua miniera d’oro.Se i cetriolini da mettere nei barattoli a Jack bambino li pagavano 10 centesimi l’ora, a Jack scrittore gli articoli li pagano 10 centesimi a parola, come mai a nessuno prima. Scrive della rivolta dei Boeri e della guerra di Corea, della rivoluzione messicana e del terremoto di San Francisco, pubblica una cinquantina di romanzi e quasi il doppio di racconti e guadagna tanti soldi. Tanti davvero, tanti che bastano a farsi costruire Snark, la barca dei sogni su cui percorrere tutto l’oceano Pacifico insieme con Charmian Kittredge, la ragazza libera e bella che è la sua seconda moglie, ma non tanti che bastano a comprarsi una tregua dalla vita e dalla sua insoddisfazione infinita. Un po’ di pace dai tormenti fecondi ma estenuanti di un’esistenza febbrile, perennemente in bilico tra la materia e il sogno, la sconfitta e il trionfo, sempre sospesa tra gli archetipi ante litteram del superomismo dannunziano e del populismo rivoluzionario di Che Guevara.Incapace a trovar quiete, inutili anche il denaro, il successo, lo spasmodico cambiamento di cielo, è sicuro di voler essere una «superba meteora» piuttosto che un «sonnolento e perseverante pianeta», esattamente come il suo Martin Eden, di esattamente cent'anni fa, smarrito fino a fuggire e a morire dinanzi alla superficialità vacua del successo. Su questa linea cala anche il sipario sulla sua vita, il 22 novembre 1916, quando ha solo 40 anni, quando le ha ormai provate tutte. Muore di sifilide, forse, di uremia, oppure, di overdose di morfina, sembra, per complicazioni respiratorie o intossicazione da medicine o distrutto dall’alcol, dicono. Non si sa neppure se per destino o per scelta. Ma piace pensare che in quel giorno di novembre Jack London, accanto alla sua Charmian, morì per una mortale indigestione di vita.  

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